Economia circolare - Italia prima in Europa, ma non basta

 

Economia circolare - Photo credit: Circular Economy NetworkSiamo in pole position nelle classifiche europee sull'economia circolare. Ma c'è poco da riposare sugli allori: senza investimenti adeguati, semplificazione burocratica e normative ad hoc la corsa italiana rischia di arrestarsi bruscamente.

Rifiuti - subito norma su end of waste

E' una fotografia indicativa del sistema Paese quella che emerge dal primo rapporto nazionale sull'economia circolare, realizzato da Circular Economy Network - la rete promossa dalla Fondazione sviluppo sostenibile e 13 aziende e associazioni di impresa - e da ENEA, presentato nel corso della conferenza nazionale sull'economia circolare.

Una fotografia, per dirla con le parole di Luca Dal Fabbro, vicepresidente del Circular Economy Network, "che restituisce i tratti connotativi essenziali del Paese: un Paese che ha formidabili intuizioni ma si scontra con la difficoltà successiva di costruire intorno a quelle intuizioni".

L’Italia è campione di economia circolare, ma rischia di perdere l'oro

Italia batte Germania 103 a 88 in economia circolare. Il nostro Paese è sempre in pole position nelle classifiche europee dell’indice complessivo di circolarità, ovvero il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse, utilizzo di materie prime seconde e innovazione nelle categorie produzione, consumo, gestione rifiuti.

Al secondo posto nella classifica delle cinque principali economie europee troviamo ancora ben distanziati il Regno Unito (90 punti), seguito da Germania (88), Francia (87), Spagna (81).

Ma c’è poco da riposare sugli allori: la nostra corsa verso i traguardi della circolarità rischia di arrestarsi, mentre quella degli altri grandi Paesi del continente sta prendendo slancio anche grazie al nuovo pacchetto di direttive approvato nel luglio scorso.

L’Italia, in confronto alle valutazioni 2018, ha infatti conquistato solo un punto in più (l’anno scorso infatti l’indice complessivo di circolarità era di 102 punti), mentre ci sono Paesi che hanno raggiunto risultati più grintosi: la Francia, per esempio, che aveva totalizzato 80 punti ne ha aggiunti 7; o la Spagna, che ha scalato la classifica partendo dai 68 punti della scorsa annualità, guadagnandone ben 13.

Se non si recepiscono pienamente le politiche europee, facendo tra l’altro partire i decreti che tecnicamente regolano il trattamento e la destinazione di quelli che finora sono considerati rifiuti e che invece possono diventare una risorsa per la manifattura italiana, rischiamo di perdere non solo un primato ma un’occasione di rilancio economico fondamentale, sostiene il rapporto.

A fronte di ottimi risultati ottenuti ad esempio nel riciclo, dove l’impegno nazionale (67%) è nettamente superiore alla media europea (55%), o nella quota di rinnovabili consumata, che ci vede davanti a tutte le grandi economie europee, abbiamo alcuni settori problematici e margini per migliorare.

Va male la raccolta di vestiti usati, per citare un comparto debole: a fronte di un consumo abbastanza elevato di prodotti tessili, il tasso di raccolta nazionale è notevolmente più basso rispetto alle altre realtà europee.

O ancora, lo smaltimento in discarica: oggi è al 25%, in linea con la media UE, ma con valori ancora elevati rispetto ad altre realtà come la Germania, la Francia e il Regno Unito.

"L'Italia vanta sicuramente grandi risultati vista la rilevanza che l’economia circolare ha avuto e ha nel nostro Paese. Dobbiamo però impegnarci a tenere alto il livello delle nostre performance”, sottolinea il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e del Circular Economy Network Edo Ronchi.

Servono un piano e una strategia nazionale, una regolazione dell’end of waste che permetta ai numerosi progetti industriali in attesa di autorizzazione di partire. Ma serve anche una visione politica e amministrativa che manovri le leve della fiscalità, degli incentivi all’innovazione in favore dell’economia circolare, che va pensata non come un comparto, ma come un vero e proprio cambiamento profondo di modello economico”.

Un decalogo per rilanciare l'economia circolare

Il rapporto, oltre a fare il punto della situazione, individua 10 proposte per rilanciare l’economia circolare:

  • Implementare una Strategia nazionale e un Piano d’azione per l’economia circolare che coinvolga tutti gli stakeholder interessati
  • Diffondere conoscenze, ricerca e buone pratiche circolari come, ad esempio, quelle inerenti i prodotti di più lunga durata, riparabili e riutilizzabili, o le partiche di shring
  • Recepire velocemente nell’ordinamento italiano le nuove direttive europee sui rifiuti e il riciclo
  • Migliorare l’utilizzo degli strumenti economici per l’economia circolare (es. responsabilità estesa dei produttori per il ciclo di vita dei prodotti)
  • Attivare rapidamente le pratiche di End of Waste
  • Portare l’economia circolare negli acquisti verdi pubblici, i cosiddetti Green Public Procurement
  • Estendere l’economia circolare anche al commercio on line
  • Promuovere la bioeconomia rigenerativa, valorizzando il capitale naturale e la fertilità dei suoli
  • Assicurare le infrastrutture necessarie per l’economia circolare
  • Promuovere l’iniziativa delle città per l’economia circolare

> Rapporto sull'economia circolare in Italia

Investire in ricerca e semplificare le regole

L'economia circolare non è solo un processo che riguarda l'industria e le piccole e medie imprese. A questi attori dovrebbe sempre affiancarsi la ricerca, settore che in Italia, in tutti gli ambiti, soffre per via della scarsità degli investimenti.

"E’ necessario un investimento pubblico e privato maggiore in ricerca per creare sinergie con il comparto industriale" nel settore della green e circular economy, sottolinea Enrico Brugnoli, dirigente di ricerca del CNR. "Ma c’è bisogno anche di semplificazioni burocratiche: le università e gli enti di ricerca in Italia stanno morendo di burocrazia".

Un appello che riveste particolare valore alla luce della partenza prossima di Horizon Europe, il programma europeo dedicato alla ricerca e all'innovazione che andrà a sostituire Horizon 2020. Le opportunità per gli attori dell'economia circolare sono duplici, alla luce della grande attenzione che il programma riserva  ai temi del cambiamento climatico e dell'ambiente.

"L'Italia dovrebbe essere pronta per competere a livello europeo, mentre spesso abbiamo le armi spuntate perché abbiamo bassi livelli di investimento in ricerca, che ci inducono a presentare spesso troppe proposte progettuali, anziché di meno ma più sfidanti”, pur di ottenere i fondi europei, conclude Brugnoli.

Economia circolare e sostenibilità sociale. Parola d’ordine: formazione

Concorda con Brugnoli sulla necessità di garantire risorse maggiori alla ricerca Gianna Fracassi, segreteria confederale CGIL. Che al tema degli investimenti associa quello degli impatti sociali della transizione verso un modello economico non più lineare ma circolare.

"Siamo attraversati da due grandi transizioni: quella ambientale da un lato e quella della digitalizzazione dall’altro. Entrambe hanno effetti sul lavoro che non vanno sottovalutati". Il rapporto, del resto, mette anche in guardia sull'andamento dei livelli occupazionali nell'economia circolare: benchè nel 2016 l’Italia abbia superato l’UE in fatto di percentuale di occupati nell’economia circolare (2,1% contro l’1,7% dell’Unione), il dato è comunque in calo rispetto a quello del 2015 (quando tale valore era del 2,6%), in linea con le percentuali occupazionali del Paese.

Per affrontare al meglio la transizione da un'economia lineare a circolare, sostiene Fracassi, occorre quindi "riqualificare il personale, mettendo a punto strumenti di supporto specifici che garantiscano una transizione equa".

Un aspetto, questo, su cui converge anche Marco Ravazzolo, dirigente dell'area politiche industriali di Confindustria. La formazione, nota, deve riguardare anche la pubblica amministrazione. Un esempio lampante citato da Ravazzolo è dato dagli appalti verdi: il meccanismo esiste, quel che manca è la capacità amministrativa per utilizzarlo.

Allo stesso tempo, l'economia circolare è una sfida non a parole, ma fatta di "impianti e posti di lavoro".

"Dobbiamo ragionare per portare tutte le imprese verso assetti di sostenibilità, dobbiamo sfruttare tutte le leve perchè l'economia circolare, come ogni riforma, comporterà delle trasformazioni. Il punto è lavorare per non perdere nulla, ma semmai guadagnare rispetto a quel che abbiamo oggi".

Gli fa eco Giorgio Merletti, presidente di R.ETE. Imprese Italia: "L'economia circolare è una rivoluzione culturale ancor prima che economica. Una rivoluzione che deve far incontrare domanda e offerta in un contesto normativo chiaro. E' necessario quindi mettere in campo strumenti di formazione e informazione, accompagnati da una fiscalità premiante".

Le risposte della politica

Se la prima sessione della conferenza ha visto rappresentanti di industria, imprese, mondo accademico e parti sociali confrontarsi sui temi dell'economia circolare, mostrando una complessiva comunione d'intenti intorno alle 10 proposte avanzate nel rapporto, la seconda parte ha visto al centro la politica e le sue risposte a queste istanze.

Concorda sulla necessità di una semplificazione normativa il deputato Andrea Orlando (PD): "Se con le norme non possiamo mettere in moto un processo, almeno possiamo evitare che blocchino o ostacolino un processo già in corso", come quello dell'economia circolare.

La leva su cui Orlando propone di agire è quella della fiscalità verde, e propone di approvare una mozione che metta dei paletti affinché nella prossima Manovra alcune misure - quelle che appunto possono facilitare lo sviluppo circolare dell’economia - non siano toccate o messe in discussione.

E in questo contesto il deputato invita a ripensare anche la strategia di Impresa 4.0, che "non è curvata nella direzione di un salto di qualità sul fronte dell'economia circolare".

Propone l'avvio di un tavolo di lavoro con gli stakeholder la senatrice Patty L'Abbate (M5S) per affrontare le questioni e i punti critici che solo i diretti interessati possono conoscere a fondo e sollevare.

Parallelamente “dobbiamo cambiare la governance dell'innovazione: in Italia abbiamo ancora una visione lineare, che ha generato modelli verticistici, dobbiamo andare verso un approccio open e sistemico dell'innovazione”. E, annuncia, stiamo lavorando su “una fiscalità circolare”.

La senatrice FI Maria Alessandra Gallone propone di superare il concetto di economia circolare e parlare di "economia sferica", un modello economico non più di un Paese, ma globale.

Secondo la deputata Rossella Muroni (LeU), prima di cambiare nome all’economia circolare, che è ancora “la miglior risposta al cambiamento climatico”, occorre innalzare il livello delle competenze in materia a livello governativo. Un esempio, oltre all'end of waste, di cui ancora si aspettano i decreti, è il caso del Bonus-Malus auto, vale a dire l’ecobonus e l’ecotasssa che partono proprio oggi: “Introdurre un sistema simile senza preoccuparsi di quanto il sistema industriale sia pronto ad affrontare quella sfida, e senza preoccuparsi dell'infrastrutturazione dei centri urbani non è un buon servizio all'economia circolare e al paese”.

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